Prologue
Gli Amorosi inganni
Belando, Vincenzo
Éditeur scientifique : Spanu Fremder, Silvia
Description
Auteur du paratexteBelando, Vincenzo
Auteur de la pièceBelando, Vincenzo
Titre de la pièceGli Amorosi inganni
Titre du paratextePrologo
Genre du textePrologue
Genre de la pièceCommedia
Date1609
LangueItalien
ÉditionParigi, David Gillio, 1609, in-12°. (Numérisation en cours)
Éditeur scientifiqueSpanu Fremder, Silvia
Nombre de pages12
Adresse source
Fichier TEIhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/tei/Belando-AmorosiInganniPrologue.xml
Fichier HTMLhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/html/Belando-AmorosiInganniPrologue.html
Fichier ODThttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/odt/Belando-AmorosiInganniPrologue.odt
Mise à jour2013-01-20
Mots-clés
Mots-clés français
GenreComédie
SujetInventé
DramaturgieAbandon des règles aristotéliciennes
LieuParis
RéceptionPeur des critiques des pédants
ExpressionDialectes ; plurilinguisme
Relations professionnellesAmitié avec Philippe Desportes
AutreAuteur comparé aux figures tutélaires de la littérature et de la poésie anciennes et modernes
Mots-clés italiens
GenereCommedia
ArgomentoInventato
DrammaturgiaAbbandono delle regole aristoteliche
LuogoParigi
RicezionePaura delle critiche dei pedanti
EspressioneDialetti ; plurilinguismo
Rapporti professionaliAmicizia con Philippe Desportes
AltriAutore paragonato alle figure tutelari della letteratura e della poesia antiche e moderne
Mots-clés espagnols
GéneroComedia
TemaInventado
DramaturgiaAbandono de las reglas aristotélicas
LugarParís
RecepciónTemor ante las críticas de los pedantes
ExpresiónDialectos ; plurilingüismo
Relaciones profesionalesAmistad con Philippe Desportes
OtrasAutor comparado con las figuras tutelares de la literatura y de la poesía antiguas y modernas
Présentation
Présentation en français
Présentation en italien
Texte
Afficher les occurrences dans les notes
PROLOGO
{NP 1}Oh spettatori, voi credevate di vedere qualche Orfeo, qualche Cicerone, qualche Aristotele, o altro tale che vi facesse il prologo o argomento in questa commedia. Questa, a dirlo, non è commedia, ed io, che pensate voi ch’io sia ? Io son Cataldo4, ma non mi conoscete con questa barba posticcia, con quest’abito mentito e falso e con questa favella, venuto qui per dirvi un segno in questa cantafavola5 o conto dell’orco, come dicono i napoletani6, e dirollovi. Questa notte passata avendomi adormito, tanto dal furor {NP 2} baccanale, come raccordandomi della presa de borghi di Parigi7, che come dice il Petrarca « e stracciato ne porto il petto, e i panni »8, che ci lasciorono tre camicie in cinque ch’eravamo ; dove che, levato in spirito, due ore innanzi dì, mi sento destare da una donna con voce altera, dicendomi9: « Olà Cataldo? lievati sù », dove io, mezzo pauroso e sbigottito, domandai s’era spirito, o fantasma, dissemi : « Io sono la Presunzione, sorella dell’Audacia, che conoscendoti povero, ti vò cavare10 da codesta miseria ». « E con che cosa ? », diss’io allora, ed ella: « Io vò che tu diventi poeta in una notte ». Io li dissi : « Tu sei la Presunzione, ma hai la maschera della Bugìa, come voi tu far poeta un balordo? un che non sa appena leggere, ancora che dicono i dotti che i poeti nascono ? ». Infine mi fece tante moine,{NP 3}che io mi vi lasciai condurere11, e subito così in camicia com’io ero, mi rappresentò innanzi un cavallo sdosso12 di color verde, con i piedi di porco, l’orecchi d’asino, la coda di topo e l’ale di nottola, e cavalcato pareva l’idolo della Fame. Con la Presunzione in groppa e l’Audacia all’arzone, fecemo in un baleno più di millanta migliaia di milioni di miglia, avendo meco più la paura che la Presunzione, quando eccoci giunti in un grandissimo prato pieno di triboli13, spine, ortiche e stecchi, e accennandomi con il dito un monte tutto sterile dal mezzo in giù, mi dissono14 : « Ecco là il monte Parnaso, dove tu ti potrai inpoetare », e calato il mostruoso destriero alla riva d’un fosso che circondava tutto il monte come fortezza, la Presunzione se ne sparì. L’Audacia scappatami {NP 4} dall’arzone, m’abbandonò ancor ella, dove che io, confuso sopra la mala guidata bestia, la sprono e sferzo per passare e volare oltre il fosso. Ma inciampando cadde nel mezzo, e attuffatosi dentro, mi piantò, anzi incollò nel tenace fango, e con fatica sviluppatomi passai oltre, lasciando il destriero fitto nel fango, e cominciando ad annettarmi15 con l’erba, la trovai tutta spinosa, che mi causò sangue senza barbiero16; l’Audacia guatandomi17 si rideva di me, accennandomi pure che io dovesse andar oltre senza paura. Ond’io, avido di spiare più addentro, alzo gli occhi alla cima del monte : ecco apparire la fanciulla di Titone18, che vestita e contesta di rose, d’oro e d’argento, vera messaggera d’Apollo, se ne veniva con passi amorosi per destar’ i mortali all’ope{NP 5}re19. Il caval Pegaso, destatosi e stiracciatosi alquanto, diede molte scosse alle pennute ali, e netrito con una sonora voce, s’inviò verso il fonte, e con l’accorto piede fece uscire mille zampilli della poetica ed immortal acqua, e soffiando il dolce Zefiro annaffiava il glorioso monte d’una amena e dolce rugiada. Ed ecco in un tempo garrire una torma20 di gai ed amorosi uccelli, con concerti così soavi ch’io ebbi d’andar in estasi, talmente che, allettato de quella più che celeste armonia, il desiderio mi spinse innanzi, e non curandomi delle punture delle spine, arrivai ad una siepe, e nascostomi per vedere il fine, eccoti dopo molti luminosi corruschi21, venire il radiante e biondo Apollo, circondato del suo sempre verde alloro, onor d’imperatori e di poeti ; e le no{NP 6}ve sirocchie22 graziose e belle, con sonori instrumenti lo guidavano al suon dolcissimo della sua lira; avendo alla destra il poeta de’ poeti, e filosofo dei filosofi, Omero, non più cieco ma occhiuto con vista lincea23, con tre corone d’ulivo, di palma e d’alloro, che gli adornavano il degno capo ; della sinistra il gran Marone mantovano24, con due corone che gli involtavano le degne chiome ; dietro veniva il non mai appieno lodato Francesco Petrarca, tenendo per la mano l’acuto Dante, il degno Ariosto, l’affettato Boccaccio, il raro Bembo, il molle Ovidio, il principe dell’eloquenza Cicerone, il sottile Archimede immortalità della Sicilia, il lirico Orazio, lo storiografo Tito Livio, ed il mastro di color che sanno25, col suo divino emulo e precettore Platone, e il gran Ronsardo26 o{NP 7}nor della Gallia, e una infinita innumerabil schiera di storici, poeti, filosofi, e teologi ch’io non conoscevo, tutti coronati d’immortalità ; ond’io stupito e fuori di me stesso, voltandomi, sento che l’Audacia mi pungea i fianchi, stimolandomi di penetrar più addentro. Io invaghito arrivo sino alla siepe che faceva muro alle radici del monte, ed ecco appena arrivato che mi salta addosso una ciurma d’affumicati pedanti, e senza dir altro mi levano a cavallo, ed alzatomi la camicia me ne dierono una maneggiata27 con un libro che aveva le foglie di piombo. Io ponendomi a gridare e a piangere, tutta la turba del monte si pose a ridere, dicendo ai pedanti che mi lasciassero. Questi son quei che si vogliono far poeti, ed essendo goffi, son confinati a star nelle siepi raccoglien{NP 8}do, anzi annettando28 gli escrementi poetici. Io dalla paura e dalla vergogna mi volto ingiuriando l’Audacia e la Presunzione che m’avevano abbandonato. I galantuomini mi cominciorno29, dopo d’aversi burlato di me, a dire molte ingiurie; e prima Omero, sfodrando dalla sua Odissea alcuni versi, in collera cominciò a dirmi30:
τί δέ ποτήσον δεύρο ἔλὕης εὔσβες,
ὦΰς μὴ ἐγϰύᾳς ιερόσυλε καί μὴ ιἔρον
ὅρος βεβηλίης ἀπαίδεοτος
Virgilio senza verun rispetto mi lavò il capo senza sapone, e con il suo bel latino, cominciò : « Stulte, asino, inepte quis te huc adduxit31? ». Eccoti Seneca, che scortomi quasi corbo fra le colombe, appoggiato con ambe le paline32 opra d’Averrois33 suo cittadino, sostenendosi sopra la punta de’{NP 9} piedi, con un orgoglio spagnolesco proruppe : « Quien es a quel vellaco que hizo venir acà a este Ganapan? »34. Ch’era meglio detto scanna pane. E mettendomi la destra mano per taglio in mezzo il fronte scoprì un poeta non da me conosciuto inbellettato con il pennello del figliuolo di Semele35, che per fama il Lobwasser36, in fine tedesco, coronato più di pazzia che di lauro, che con una voce barbara e austera cominciò ingiuriandomi a dire : « Dasz dich der Teufel hole ! Wer bringt mir den Lumpekerle her ? Pack dich hinweg du Schelm, du Böswicht »37. Dante ancor egli disse : « Oh tu non vedi chi m’ha condotto qui codesto buaccio38? ». Il Bembo non mancando del suo debito cominciò a dirmi nella sua lingua veneziana : « Mo dise un poco chi v’ha menao qua sier castronazzo,{NP 10}can, becco cornuo39? ». Il signor Ronsard, ancor egli disse : « Qui est celui qui m’a amené ici ce coquin? »40. Io conosciutolo cominciai : « Ah signor Ronsard, non mi conoscete quand’io praticavo in casa del signor Filippo Desportes41, abate di Tiro, gloriosa tuba delle muse francesi ? Io son venuto qui spinto dall’Audacia e dalla Presunzione, com’anco per rubare qualche residuo di poesia, datemi almeno qualche ufficiuccio ». Loro accordatosi, mi gettarono una scopa vecchia, dicendomi ch’io non solamente era degno di toccar il luogo, ma anche di remirarlo : « Pure, per averti conosciuto in Parigi, che tu facevi buoni salami per tuo piacere e il comico per tuo diletto, tu spazzerai - diss’egli - il circuito di questo monte e troverai tra la spazzatura alcune reliquie delle quali{NP 11} tu ti potrai servire ». E fatto comandamento ai pedagoghi di non fastidirmi più, cominciò a spazzare imitando le fantesche, che spazzando cercano rimuscinando con il dito per trovar oro, o argento o danari, ma talvolta s’imbrattano le mani di sterco di cane, di gatto, o d’altro. Al fine intentivo e attentivo, raccoglieva (pareva a me) cercando acquarella che discendendo dal monte strascinava seco un colore, che faceva quasi inchiostro42. E desto, pregno di poesia goffa, con una pennaccia mal tagliata, cominciai questa cantafavola c’ora vi dona il vostro Cataldo, co’l cuore insieme. Si rappresenta a Parigi, dove ha lasciato la roba e la gioventù, e così mendico vi lascerà lo stracco e infelice corpo. Attendete dunque agli Amorosi inganni, che così{NP 12}ha nome questa commedia. E pregando il Cielo che siate ingannati così voi, darò luogo a costei che di costà viene. A Dio, fate silenzio.